lunedì 24 luglio 2017

L'universo femminile non e' cosi' vasto nella ricerca farmacologica

In questi giorni, l'attenzione si focalizza sulla donna e gli obiettivi sono puntati sull'universo femminile, un universo che si riduce drasticamente quando si parla di ricerca farmacologica.

Infatti le donne, nonostante siano le maggiori consumatrici di farmaci, sono scarsamente rappresentate nella sperimentazione clinica.

Non solo, ma non si tiene conto della diversità fisiologica uomo/donna rispetto all'effetto dei farmaci.

Per questo il Comitato Nazionale per la Bioetica ha approvato il testo La sperimentazione farmacologica sulle donne.

In esso si evidenziano i pericoli di una farmacologia neutrale che non individua e riconosce le differenze uomo/donna.

Nel testo si propone, tra l'altro, di incentivare le aziende farmaceutiche a sostenere una sperimentazione differenziata, suggerendo progetti di ricerca sull'argomento. Si richiede inoltre di garantire una maggiore presenza femminile nelle sperimentazioni farmacologiche e una maggiore attenzione alla terapia appropriata e si sottolinea la necessità di potenziare la cooperazione nazionale ed internazionale.

Il testo è stato redatto da Laura Palazzani, che ha coordinato il gruppo di lavoro con il contributo di Silvio Garattini, direttore del'Istituto Mario Negri di Milano, e Laura Guidoni, dirigente dell'Istituto Superiore di Sanità. Durante gli incontri dei gruppi di lavoro si sono svolte alcune audizioni che hanno offerto importanti contributi, dei Proff. Flavia Franconi, Responsabile del gruppo di studio Farmacologia di Genere della Società Italiana di Farmacologia, Vicepresidente della Società Italiana Salute e Medicina di Genere e coordinatore del Dottorato di Ricerca Farmacologia di Genere, oltre a Matilde Leonardi e Carlo Tomino.

La donna, quindi, è stata sempre sottorappresentata e a giustificazione di questa scelta sociale c'erano la convinzione che l'unica differenza tra uomini e donne fosse solo legata all'apparato riproduttivo e che l' esclusione proteggesse la maternità.

E' solo tra li anni '80 e '90 che i ricercatori si sono resi conto che le patologie potevano avere decorsi molto eterogenei in uomini e donne e quindi risultati eterogenei anche le terapie farmacologiche.

Il fenomeno è riconducibile sia a fattori sociali (mansioni lavorative diverse espongono a rischi diversi), sia a fattori ormonali, genetici, metabolici.

Per esempio, le ricerche sulla digossina, molto usata nell'insufficienza cardiaca, erano state condotte per l'80% su uomini e la conclusione era stata che pur non allungando la vita il farmaco faceva diminuire il numero di ricoveri.

Alcuni studi successivi sui dati analizzati relativi a uomini e donne, dimostrarono che mentre gli uomini che prendevano la digossina miglioravano la qualità di vita rispetto al gruppo che assumeva placebo, per le donne era vero il contrario, cioè morivano prima di quelle alla quale era stato somministrato il placebo.

E questo perché probabilmente è diversa l'origine della cardiopatia (dopo un infarto per l'uomo e in seguito a diabete o ipertensione nella donna).

Infine un altro punto da non sottovalutare è quello che, non solo si deve coinvolgere le donne nella sperimentazione, ma i ricercatori devono presentare i loro risultati consentendo di analizzare le differenze tra uomini e donne perché nella maggior parte degli studi non si descrive l'efficacia del farmaco suddivisa per sesso.